Ho scritto più volte su questo blog che il cloud locale, e per locale intendo Italiano, può essere vincente. Se non altro per via delle normative vigenti in Europa, per i dubbi che si possono avere sul patriot act americano e, perché no, proprio per il fatto che le aziende preferiscono avere un’idea di dove sono i loro dati… Poi però ti scontri con la realtà e vedi che i cloud provider italiani stanno arrancando più del dovuto.

Un’esperienza

La settimana scorsa ci sono state le prime date di Juku Unplugged. La sessione che ha destato più interesse è stata quella sulla migrazione al cloud. In pratica ho fatto una piccola esperienza personale (chiamarla ricerca sarebbe stato decisamente eccessivo) in cui ho provato a migrare una piccola infrastruttura (4 server) su diversi cloud IaaS. L’esperienza è stata più complicata del previsto, in alcuni casi deludente in altri impossibile.

Questo non significa che non ci sia riuscito ma, purtroppo, per riuscirci ho dovuto scegliere cloud esteri. (La prova non è stata estesa a tutti i provider e a tutti gli stack tecnologici a disposizione sul mercato ma è stata limitata a 3: Amazon, vCloud e OpenStack).
In linea di massima ho trovato il pubblico molto più attento e informato rispetto anche solo a pochi mesi fa e la discussione che ne è scaturita, soprattutto a Milano, è stata molto interessante.

Delusione

In realtà le offerte che ho provato su quello che viene venduto come cloud da diversi provider Italiani è stato fallimentare. Se togliamo pochissimi provider di livello nazionale, grandi e che hanno operazioni anche all’estero, l’offerta è spesso discutibile.
Purtroppo i piccoli provier, animati spesso dallo “spirito smanettone” che contraddistingue la loro storia, hanno implementato un cloud posticcio e lo hanno affiancato all’hosting tradizionale spacciandolo come migliore solo perché si paga a consumo!
Qui non si pone solo il problema della teorica “scalabilità infinita” o di servizio erogato da regioni/zone diverse, posso capire che un piccolo CSP non sia in grado di acquistare decine di rack per far partire un servizio, ma spesso è soprattuto una questione di implementazione dell’infrastruttura.
Infatti, mentre fino a quando si parlava di hosting ci si riferiva a distribuzioni Linux e software di pubblico dominio, compilato e mantenuto con la modalità spago e scotch, ora la complessità è decisamente più ampia e lo stack tecnologico più complesso.
Il provider locale dovrebbe iniziare a crescere culturalmente e valutare soluzioni che siano più allineate con la potenziale richiesta del mercato.

Manca proprio il cloud

Dare un server virtuale, direttamente esposto su internet, che puoi accendere e spegnere a mano da un cruscotto non è cloud. E in ogni caso non è il cloud che un’azienda vorrebbe avere. Forse va bene per fare un piccolo web server ma allora che senso ha andare da un provider locale? non è meglio andare da provider grandi, con connettività decisamente più importante e servizio di assistenza migliore?

Spesso non vengono esposte le API che permettono il controllo e l’automazione delle istanze quindi, anche per un eventuale sviluppatore evoluto, il servizio rimane inutilizzabile. Infatti, quei pochi sviluppatori che ho conosciuto in grado di sviluppare software cloud continuano a preferire la soluzione Amazon perché utilizzabile!

Quello che non ti aspetti

Alla fine sembra che l’unico in grado di poter sviluppare in casa un’offerta rispettabile sia Aruba, che ha una pessima reputazione, ma è l’unico che sta facendo i giusti passi verso una offerta cloud allineata a quelle dei competitore Europei. (e costa anche meno di Amazon!)
Infatti ha delle API, ha un concetto di virtual datacenter che si sta sviluppando, ha più DC da cui erogare servizio e molti servizi di contorno che stanno crescendo. Insomma, quello che vorrei dal mio service provider.
Sicuramente un’offerta molto più chiara (e competitiva?) di alcuni operatori telefonici Italiani che magari puntano più su meccanismi marketing a mo’ di punti del supermercato che sulla sostanza (ma non voglio fare nomi, 😉 ).

La cantina non funziona più

Per quanto il piccolo ISP locale sia convinto di avere ancora senso di esistere purtroppo non è così, o almeno non lo è se non ha un servizio di alta qualità! Aruba sta realizzando un servizio per i rivenditori, Microsoft sta facendo lo stesso con la sua offerta Office 365 e anche altri stanno proponendo “servizi all’ingrosso” per i rivenditori.
In pratica il cloud locale, che sostengo da molto tempo sarà veicolato dal canale, sarà una competizione fra grandi cloud venduti da rivenditori locali.
La stessa Amazon sta iniziando a lavorare su una rete di partner locali… cosa potrà mai fare il piccolo CSP-wannabe con il suo servizio di scarsa qualità?

Nota finale

Per il piccolo ISP, la strada più ovvia da percorrere è quella di diventare un rivenditore, magari dando quel valore aggiunto che forse altri non potrebbero dare.
Mantenere una struttura troppo piccola non ha più senso e lavorare quasi come un artigiano neanche. Certo, qualcuno resisterà ma la maggior parte sarà destinata a rivedere il suo modello di business. Questa cosa era già successa con i cloni dei PC: chi produrrebbe oggi un clone di PC? Quale azienda comprerebbe oggi un PC fatto in casa?

Esiste anche una scappatoia tecnologica che è la “federazione di diversi cloud” (qualcuno ne sta parlando come di una opzione già in roadmap). Da un punto di vista tecnico sarebbe la salvezza perché permetterebbe di gestire carichi superiori alle proprie possibilità o una affidabilità superiore ma in pratica stiamo parlando di ipotesi quasi fantascientifiche al momento.