Questa mattina ho fatto una telefonata che dimostra quanto possa essere distorta l’idea che un vendor può avere sulla formazione e sul “trasferimento di cultura” ad utenti finali (e canale di vendita).

Premessa

Sono stato da poco ingaggiato per una attività di advising su un progetto di storage, quindi ho iniziato a raccogliere una serie di informazioni che mi mancavano per preparare quello che alla fine interessa al mio cliente: l’individuare una soluzione tecnica adatta alle sue esigenze.

L’obiettivo del cliente infatti è quello di trovare quello che gli serve e risparmiare (molto) tempo con in più qualcuno con cui potersi confrontare e che sia indipendente dall’influenza del vendor. Un modo come un altro per contrastare l’asimmetria informativa che c’è fra vendor e utente finale.
Il risultato del mio lavoro, fra l’altro, non è quello di trovare una singola soluzione ma di dare al cliente una classifica di quelle più interessanti. Facendo così, anche da un punto di vista economico, si può poi trovare il miglior compromesso prezzo/funzionalità.

Le informazioni

Nella maggior parte dei casi, le informazioni su cui baso le mie consulenze non vengono dall’Italia ma dai contatti che cerco di sviluppare all’estero.
Certo, in Italia sarebbe più facile ma il problema è spesso che qui l’informazione arriva distorta e incompleta. E’ ovvio che se riesco a parlare con chi ha fatto una cosa è molto meglio che con chi ha avuto l’informazione da un altro italiano, che l’ha avuta da un europeo che, a sua volta, l’ha avuto da un americano, ecc. ecc. Non è colpa di nessuno, ma ogni volta che c’è un passaggio si perde parte del messaggio e alla fine c’è un rischio molto concreto di non portare nessun valore all’utente finale. Il mio pensiero è che se anche io perdessi una buona parte del messaggio originario, i passaggi sarebbero così pochi che comunque avrei una informazione più dettagliata. Questo è il motivo per cui viaggio molto ma ovviamente i vari social network (Twitter, LinkedIn o Facebook) aiutano tantissimo a mantenere questo tipo di relazioni.

Un altro aspetto della “distorsione” dell’informazione locale è dovuto agli obiettivi che ha l’emanazione locale di ogni vendor. Infatti, le strutture locali delle varie multinazionali dell’IT sono principalmente orientate a vendere e vengono misurate solo su quello, tutto il resto di quello che fanno è in funzione della vendita. Il rischio concreto quindi è che ogni informazione venga condivisa in funzione di un’opportunità precisa e che possibilmente si possa chiudere nel trimestre in corso!!!

Gli stessi vendor tendono a rilasciare meno informazioni ai propri canali di vendita proprio per fargli vendere ciò che è disponibile (e fatturabile) subito.

Il fatto

Insomma, questa mattina, durante la telefonata che dicevo è venuta fuori una frase del genere da parte del vendor: “…non capisco perché un’azienda dovrebbe affidarsi ad un consulente per una ricerca di questo genere. [il cliente] Potrebbe chiamare direttamente tutti i vendor, raccogliere le informazione e imparare un po da tutti! …”. Ovviamente, anche per rispetto dell’interlocutore, devo dire che questa frase fa parte di un contesto più ampio e di una mia richiesta precisa di bypassare tutti gli italiani che avrebbero potuto essere coinvolti in qualche modo.

In ogni caso, quello mi che mi interessa è proprio il “coinvolgere tutti i vendor e imparare un po da tutti”, che è una pratica molto comune e consolidata fra utenti e fornitori: dal mio punto di vista questo è l’approccio più sbagliato che possa esistere.

Quando un utente finale medio affronta certi tipi di progetti ha due possibilità: fare da solo o affidarsi ad un consulente. Tralasciando il secondo caso, se l’utente ignora la materia, questo dovrebbe investire in formazione (o informazione).

Non voglio disquisire quanto sia utile spendere denaro per aumentare il livello culturale per un solo progetto o investire in un consulente, sono scelte aziendali. Sicuramente però è sbagliato (rischioso) sperare di aumentare il proprio livello culturale sentendo più campane e scegliere quella che sembra suonare meglio. Il rischio è quello di perdere tanto tempo e di fare scelte sbagliate che possono avere delle ripercussioni.

Pre-vendita e formazione sono cose diverse

iStock_000013770837LargeLe persone tecniche che fanno attività di pre-vendita non vanno dai clienti per fare formazione sulla tecnologia in generale ma, per ovvi motivi, spiegano al cliente la propria implementazione e hanno come unico obiettivo quello di dimostrare che la loro ha più valore di quella della concorrenza. A volte si cerca anche di screditare il concorrente per avere un valore relativo superiore (FUD).

L’utente si ritrova a dover ascoltare ogni versione che gli viene proposta e, alla fine, deve basare le sue scelte non sull’oggettiva qualità delle soluzioni proposte ma sulla storia migliore o su quello che l’ha saputa raccontare meglio.

Nota finale

Purtroppo la formazione e la consulenza costano e nessuno lavora gratis, lo so. E’ certo però che utilizzare lo strumento della prevendita, sia per l’utente che per il vendor, come un escamotage per “acculturarsi” gratuitamente è aberrante!

Sono sempre più convinto, grazie anche ad alcune esperienze professionali recenti, che la difficoltà di alcune tecnologie di nuova generazione, e in tutti i settori dell’IT moderno, siano più legate ad una ignoranza di fondo che a delle vere e proprie difficoltà oggettive. So che è difficile, c’è la crisi e tutto quanto… ma tutti gli operatori IT e gli utenti finali dovrebbero tornare ad investire un po’ di più sulla cultura e sulla sua diffusione: ne gioverebbe tutto l’ambiente.

Disclaimer: questo post potrebbe sembrare puramente acqua portata al mio mulino di consulente ma in realtà, per chi segue questo sito dagli inizi, troverà questo articolo assolutamente allineato allo spirito che ha sempre animato questo blog.