Ogni tanto mi capita di partecipare a discussioni fra professionisti del settore IT che si tengono sui vari social network riguardanti il cloud computing. Ultimamente, l’argomento principale di discussione non rimane mai incentrato sul cloud in se ma sulla repulsione che gli operatori (parlo di system integrator, VAR, reseller, ecc) hanno verso questo nuovo approccio alla gestione dell’IT aziendale.
La paura è spesso dovuta al fatto che il cloud computing, soprattutto quello pubblico, limerà sempre di più il fatturato di aziende che vendono infrastrutture tecnologiche con una conseguente perdita di posti di lavoro. Negli ultimi tempi ho visto alcuni operatori osteggiare apertamente il fenomeno non con motivazioni tecniche credibili ma come un male da evitare accuratamente, anzi uno degli obiettivi primari è proprio quello di fare quello che in inglese viene detto FUD (fear, uncertainity, doubts = ispirare paura, incertezza e dubbi) sui clienti finali proprio paventandogli la possibile perdita del lavoro! La tesi è sempre quella e, più o meno, si riassume così: “se adotterai tecnologie cloud e le cose si semplificheranno troppo tu perderai il lavoro perchè non ci sarà più bisogno di te!”
Io non posso fare altro che oppormi fortemente a questo messaggio perchè penso che le cose stiano in tutt’altro modo, ecco perchè:
c’è cloud e cloud
Sotto il cappello cloud oggi si vende di tutto, spesso raggiungendo il ridicolo (Telecom è riuscita perfino a metterci gli impianti di illuminazione pubblica 🙂 ). Diciamo che comunque, per farla molto semplice, il cloud computing è un modello tale per cui le risorse si pagano in funzione del loro uso effettivo e non a priori: il cloud è l’evoluzione di quello che prima si chiamava ASP e poi *AAS (* as a service). Rispetto al passato il cloud funziona perchè sono maturate le tecnologie a supporto (il web, la banda, la gestione delle risorse con la virtualizzazione, la sicurezza, le applicazioni, la cultura dei fruitori, ecc.). Il cloud è una evoluzione naturale delle tecnologie ed è un modello architetturale a cui non ci si potrà sottrarre: resistere può creare solo un breve rallentamento ma, quando la diga si romperà, l’effetto potrebbe risultare devastante.
Io stesso, se fossi un IT manager, valuterei il cloud computing con molta attenzione e sono sicuro che non esiterei a sperimentare. La possibilità di acquistare un servizio, ad un costo certo, per il reale utilizzo che ne faccio (numero di utenti, cicli di CPU, numero di righe gestite in un DB) è esaltante: permette di contenere i costi e conoscere in anticipo quanto spenderei in funzione della crescita.
Alcune applicazioni sono sicuramente più inclini di altre ad essere trasferite sul cloud (banalizzando, potrei dire: quelle nate nell’era di internet e per internet) mentre è vero anche che non tutto potrà essere mai usato in questa modalità (ogni tanto mi fa piacere ricordare che, ancora oggi, i mainframe sono una realtà viva e vegeta e parliamo di una tecnologia nata negli anni 60). In altre parole Il software fruibile in modalità SAAS deve essere progettato per funzionare così altrimenti le difficoltà a cui si va incontro sono, spesso, insormontabili.
pubblico, privato…
La verità, come al solito, sta sempre nel mezzo. La crescita dell’IT è esponenziale, in azienda vengono continuamente attivati nuovi servizi, sia per l’utenza interna ma, anche e soprattutto, per quella esterna (clienti, fornitori, partner). La quantità di dati da gestire è sempre maggiore e cresce a ritmi quasi insostenibili, l’azienda vorrebbe risparmiare ma fa fatica. Il cloud computing è un tentativo di razionalizzare e risparmiare. L’approccio radicale, come in tutto quello che ho visto in oltre 20 anni di esperienza, non funziona quasi mai per nessuno: andare totalmente verso il cloud pubblico (per intenderci: amazon, google, salesforce, ecc.) è quasi impossibile. Esistono troppi legami con il passato, troppi tipi di applicazioni datate, troppi problemi di banda e latenza, processi, integrazioni verticali e via dicendo.
Ma, d’altro canto, è impossibile rimanere immobili e sperare di non toccare nulla di quello che abbiamo in azienda. Le piattaforme attuali devono evolvere perchè diventeranno presto ingestibili, le automazioni saranno sempre più necessarie, i processi di approvvigionamento andranno rivisti e semplificati. Insomma si andrà verso un cloud privato (quantomeno di infrastruttura o piattaforma: IAAS, PAAS).
…ibrido
Chi vincerà sarà il cloud ibrido: lo sto già dicendo da tempo. Non sarà possibile mantenere tutto in casa ma non sarà possibile neanche dare tutto fuori, è necessario mediare fra pubblico e privato per massimizzare il risultato.
Nell’ultimo anno ho anche assistito ad un interessante progetto di un cliente che è passato da una soluzione di totale outsourcing ad una forma ibrida con l’ERP (SAP) in modalità SAAS erogata da un service provider globale e la contemporanea realizzazione di una infrastruttura virtuale importante in casa per tutti gli altri servizi. Il cliente ha già iniziato a misurare i risparmi, preservando la forza lavoro interna e migliorando la qualità del servizio e i tempi di risposta.
Certo, la strada è lunga, mancano degli standard, mancano dei tool per far dialogare il cloud pubblico con quello privato, manca l’esperienza ma state sicuri che tutta l’industria sta lavorando in questa direzione.
Very interesting and useful, keep it up
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