Ok, L’Italia tutta è al collasso ma io mi occupo di IT in prima persona e di questo mi tocca parlare. Dopo il mio articolo “Sul valore di scrivere un blog di IT in Italiano” è scaturita una discussione (che ancora va avanti su Twitter se siete interessati). In questo post voglio esprimere il mio punto di vista e contribuire ulteriormente a quella discussione.
E’ colpa di tutti
Il primo colpevole, come sempre in Italia, è la classe politica. Questo è facile, la maggior parte dei politici oltre ad essere ignorante (nel senso che ignora la materia) è anche miope, autoreferenziale, corrotta e chi più ne ha più ne metta (quindi è anche ignorante nel senso più bastardo del termine). Questo, associato ad una classe di imprenditori che di imprenditore hanno solo il nome, ha fatto implodere negli anni tutto quanto di tecnologico c’era in Italia… a partire dall’Olivetti!
La lista dei colpevoli comunque non finisce qui. Ci si possono mettere acne tutti quelli che hanno sviluppato il loro primo gestionale negli anni ottanta e che vivono ancora di rendita su oggetti ridicoli che ormai stanno insieme con spago e scoth (e magari girano ancora sull’AS/400). Questi, ad esempio, ormai puntano alla pensione e, oltre a fregargli poco del futuro delle loro aziende/tecnologie, hanno anche una certa spocchia perché pensano di aver creato qualche cosa di importante (molti di importante hanno la villa, l’Audi grossa e qualche altra rendita qui e la).
Vivere di rendita
Tutti Molti degli “informatici” di quella classe li, di informatica moderna non sanno nulla. Vivono di rendita o poco più.
Ma il problema vero non è quello, il problema vero che chi poteva investire e creare del valore non l’ha fatto, l’obiettivo è sempre stato quello di puntare ad una posizione tale da poter vivere di rendita.
Ammettiamolo, questo comportamento è nell’indole dell’Italiano medio e, alla fine, tutti questi imprenditori politici sono l’espressione proprio di quell’Italiano medio.
Schiacciati
Certo è vero anche che Imprenditore non è sinonimo di Sammaritano. L’imprenditore vuole costruire qualche cosa ma vuole anche guadagnare (molto possibilmente).
In Italia non ci sono le condizioni e basta: le tasse sono alte, alcune tasse le paghi anche se non guadagni, il costo del lavoro è elevato, la burocrazia è kafkiana, la corruzione e le collusioni mafiose (non solo quelle di cosa nostra e simili) è molto più presente di quanto si creda.
Senza contare che voglio vedere come fai a giustificare alla guardi di finanza un’azienda che, magari per anni, non guadagna… non voglio neanche pensare allo studio di settore del caso o a non so quale altro marchingegno machiavellico.
Ogni tipo di investimento viene penalizzato (anche solo un corso per migliorare le proprie competenze) e quindi le aziende si guardano bene dal tirare fuori soldi!
Deserto, terzo mondo e Ipocrisia
Quindi? Quindi non è facile. Si parla spesso di Italia come “deserto informatico” o “terzo mondo informatico” e, purtroppo è vero. Anche le aziende che vengono da fuori non considerano più l’Italia come paese strategico (investono prima in UK, Germania, Francia, nord Europa… L’italia ormai fa parte del resto dell’europa).
Secondo me c’è anche un problema di fondo e si chiama Ipocrisia (la I maiuscola non è un caso) e l’unica cosa da fare è ricostruire da zero.
Ad esempio, gli Startupper (termine che ho cercato su Google e si usa solo in Italia) sono spesso li per fare investimenti ridicoli su progetti ridicoli solo per farsi belli sui giornali e poter dire ai loro amici quanto sono belli! Metto nel conto anche molti incubatori, figli di quegli imprenditori che hanno disossato l’Italia, che sembrano più dei giochini che altro.
Questi “imprenditori” fanno anche qualche investimento ma, soprattuto quando la tecnologia è particolarmente innovativa, le startup ci mettono degli anni a diventare profittevoli e, ad ogni giro di finanziamenti, rilanci o diluisci le tue quote… la mentalità Italiana non funziona così: magari piccolo, ma voglio tutto io, dove decido io, perché so io come si fa e gli altri non capiscono un c… mi sbaglio?
Mi piacerebbe, una volta, andare ad una di quelle riunioni degli startuppari e alzare la mano per fare qualche domanda un po più cruda… tanto per vedere le reazioni.
Non metto in dubbio che qualche starup Italiana ci sia, ma sono mosche bianche, se vai in Silicon Valley (o Boston, o Seattle, o…) c’è una densità di almeno cento volte tanto (non quantità, densità!)
Emigrare è un’opzione, lo fanno in tanti e non vedo cosa c’è di male da un punto di vista lavorativo. Certò, L’Italia tutta ci perde ogni volta che un ingegnere emigra ma per lui la vita può cambiare radicalmente. C’è anche l’imprenditore che fa la società all’estero e sfrutta i bravi ingegneri Italiani sviluppando da noi? Bravo (ma lo fa solo perché in Silicon Valley un ingegnere prende Molto di più – anche in questo caso la M maiuscola non è un caso).
Una delle cose che mi fanno più tristezza sono poi i giornali che, non solo per quale motivo, vogliono continuare con questa “voglia di speranza” e continuano a pubblicare articoli su startup che, se non vengono comprate, fanno qualche App idiota o qualche oggettino che se anche avrà successo rimarrà una cosa poco più che locale. (ricordo a tutti che se fai una App idiota in Silicon Valley e questa ha successo le valutazioni sono sempre fra le centinaia di Milioni e i Miliardi di dollari, incomparabile!).
E poi, diciamocelo, noi le App non le sappiamo fare… ma questo è un altro discorso.
Ricostruire
Dicevo che per cambiare rotta è necesario ricostruire. Intendiamoci, non è l’IT da solo che può cambiare le cose è il sistema paese che deve farlo! Però se noi informatici ci piangiamo addosso e non iniziamo a farci trovare pronti per ogni opportunità non porteremo mai il nostro contributo.
La classe politica è ancora del tutto inerte (chi mi segue su Twitter sa bene come la penso sull’immobilità del nostro presidente del consiglio) e quindi è necessario farsi più furbi e sfruttare altre idee.
Io sono anni che cerco di portare avanti alcune idee, espresse poi per la maggior parte con le attività di questo blog, il mio lavoro e i seminari gratuiti Juku unplugged: maggiore formazione e informazione, in una parola maggiore cultura. Riguardo ai Juku unplugged non vorrei fare pubblicità, anche se poi il 19 marzo ci sarà un seminario a Milano proprio su alcuni nuovi approcci a problematiche ormai classiche. 😉
Una volta, tanti anni fa, la cultura la facevano i vendor. Poi questa pratica si è persa perché sono tutti schiacciati dai target trimestrali e ogni investimento lo fanno per cercare di ottenere lead. E’ una strategia che, come hanno dimostrato di fatti, non paga ma le dinamiche della multinazionale sono difficili da combattere.
L’anno scorso comunque, attraverso alcuni progetti finanziati proprio da alcuni vendor, sono riuscito a coniugare le loro esigenze con la voglia dei loro interlocutori di essere più in/formati (alcuni esempi qui)… e sono molto fiero di alcuni dei risultati ottenuti.
La cultura è il primo obiettivo. Più la cultura (informatica) è elevata più sei consapevole delle tue scelte e di quello a cui queste portano. La conoscenza ha conseguenze importanti come, ad esempio, la possibilità di prendere decisioni strategiche senza aver paura perché si sa come funzionano le cose.
Il secondo passo
La cultura da sola non basta. Sia che si parli di imprenditori dell’IT che di utenti finali alla fine contano anche gli investimenti. Qui è più complicato ma, ripeto, partendo dalla cultura è più facile prendere decisioni che portano a risultati positivi (sempre sfortuna a parte). Dimostrare poi di avere avuto dei risultati positivi incentiva ulteriori investimenti. E’ una spirale virtuosa… almeno in attesa che questo paese faccia qualche cosa di concreto su agenda digitale e altri temi strategici per il lavoro e per le aziende.
Di passi da fare ce ne sono tanti e anche di strategie diverse da seguire, siamo un passe del terzo mondo in fondo quando si parla di informatica e sono sicuro che per molte cose basterebbe vedere cosa succede in altri paesi.
Perché è importante
L’IT è fondamentale per tutto quello che riguarda la competitività dell’azienda, le nostre vite di tutti i giorni e per il futuro. In Italia abbiamo la fortuna di avere gente molto più smart che in altri paesi. Non so perché ma, forse proprio per il fatto che cerchiamo sempre di girare intorno ai problemi, siamo anche quelli che hanno più fantasia.
Lamentarsi è il primo segno di disagio, farlo in pubblico (sui social media) può innescare la discussione, se la discussione non è fine a se stessa e se le idee vengono condivise e poi sviluppate nasce una piccola rivoluzione (pacifica, mi raccomando 😉 ). E, magari, un po alla volta questo paese inizierà a cambiare rotta… speriamo!
PS: anche io conosco qualche startup, o piccola azienda decisamente innovativa. Non viene messa indubbio la loro esistenza, magari hanno anche un certo successo, è che fanno più fatica di quello che farebbero da altre parti…
Aggiungo volenteri il mio contributo.
Tu Enrico hai affrontato molti temi nel tuo articolo, e uno in particolare è esattamente il motivo delle mie perplessita sull’opportunità di continuare a sostenere la comunità italiana, oppure abbandonarla al suo destino e volgere lo sguardo verso altri lidi.
Secondo me il problema principale sono gli stessi attori del mercato IT. Spero che nessuno si senta personalmente tirato in causa da quello che sto per dire, ma se si dovesse riconoscere e risentirsi, beh si faccia un esame di coscienza…
Recentemente sono stato avvicinato da diverse società che avevano posizioni aperte. Senza fare nomi, c’erano nella lista sia società italiane, sia filiali italiane di multinazionali, sia società completamente estere. Se mettessi su un foglio le descrizioni dei lavori senza scrivere i nomi, sono sicuro che tutti saprebbero dire chi ha offerto cosa.
In breve, all’estero si viene cercati per ruoli da Architect, Product Manager, e simili. In Italia, a parte posti da Sales Engineer non mi è mai arrivato nulla. Sicuramente la mia piccola esperienza è limitata, ma nonostante tutto rispecchia fedelmente cosa avviene a livello generale: in Italia non si “produce” IT, ma si “consuma” IT. Pertanto, servono unicamente persone che sappiano vendere i prodotti presi altrove, sia che lo si faccia in modo puro (un sales) o come tecnico (il sales engineer appunto). E nonostante alcune tecnologie siano interessanti, l’unico avvilente argomento che si usa per arruolare il canditato è il soldo. Non vivo d’aria sia chiaro, ma non faccio scelte professionali basandomi unicamente sullo stipendio.
Ma, il fatto stesso che i discorsi siano questi, è sintomo che innanzitutto loro per primi sanno che non hanno altro da offrire, e soprattutto che viene dato per scontato che sia quello che interessi alla gente solo perchè è quello che interessa a loro (per la cronaca, ho gentilmente rifiutato ognuna di queste proposte…).
Il mercato IT viene ucciso regolarmente da queste persone che si accontentano di portare a casa la pagnotta, e nonostante valgano si limitano a fare il loro compitino, fare contento il capo di turno, e vivere felici. Magari sognando ogni volta di fare il “quarter della vita” e vincere così il viaggio premio in qualche posto esotico. Non ho niente contro di loro, sicuramene sono in gambissina nel loro lavoro e sono uno dei motivi del successo commerciale di molte aziende, ma non possono pensare che TUTTI ragionino nello stesso modo.
C’è bisogno di persone che escano da questo limbo, si “buttino” dove è possibile fare molto di più (e quindi vadano all’estero o lavorino con l’estero, e comunque in ruoli non nazionali), e facendo ciò possano innalzare innanzitutto se stessi, e anche il loro status di “italiani” agli occhi del mondo IT. Ne conosco alcuni, come li conosci tu, ma sono delle mosche bianche, il cui successo è dovuto più a capacità personali che al “sistema” che li ha prodotti. Anzi, sono da applaudire proprio perchè sono emersi nonostante arrivassero dal mercato IT italiano.
A me poco importa se uno resta in Italia ad avere successo o a fare il martire, oppure prenda armi e bagagli e vada all’estero; l’importante è che l’Italia tramite il contributo di tutti questi singoli (perchè il contributo aziendale o sistemico è nullo…) possa finalmente non essere più vista come l’ennesimo mercato dove smerciare nuove soluzioni, ma alla stregua di nazioni come UK o Olanda dove nemmeno li si realizzano queste soluzoni IT, ma sono interlocutori privilegiati in questo settore. E lo sono perchè le persone che ci lavorano sono competenti, aggiornate, e contribuiscono in mille modi alla “vita sociale” dell’IT.
Giusto per fare due esempi: quante persone italiane regolamente presentano ad eventi internazionali come VMworld o Cisco Live? E quanti olandesi, nonostante siano un decimo di noi?
Luca grazie anche a te per l’intervento.
Sapendo poi tutti i particolari che non ancora noti ai più non posso darti che ragione al 100% 😉
Luca ha perfettamente ragione, alcuni colleghi italiani raccomandano di ridurre il C.V. perché quelli pieni di professionalità vengono declassati. Per lavoro ho visitato alcune SpA italiane… bhé il mio piú piccolo cliente qui ha un infrastruttura e processi lavorativi 10k volte migliori.
Argomento sempre attuale e ben spiegato, complimenti Enrico
Concordo con la “moda” delle startup e degli incubatori, giornali e vecchi squali giocano sulla voglia di emergere dei ragazzi e raccontano di startup come isole felici. Quasi sicuramente a guadagnare sono ancora i soliti e questi ragazzi vengono sfruttati per le loro idee a costo zero (anzi in alcuni casi incubatori chiedono contributi per darti una scrivania)
Il problema più grande siamo noi, siamo noi che non cerchiamo di prendere un nuovo cliente proponendo il progetto migliore e cercando la soluzione per lui migliore ma continuiamo a proporre l’unico prodotto che conosciamo e “sputtaniamo” (scusate ma la parola rende l’idea) la concorrenza coi soliti mezzucci all’ italian style.
Siamo noi che, come diceva Luca, siccome il nostro unico pensiero è di vendere di più con meno fatica, semplicemente cerchiamo 10/20/100 venditori pagati a percentuale senza preoccuparci che questi abbiano e/o seguano una strategia aziendale ma portino il preventivo firmato. Ovviamente i venditori fanno il loro lavoro quindi niente da recriminare a queste persone
Siamo noi che non ci preoccupiamo di formare il nostro cliente pensando che il cliente ignorante sia più facile da gestire e da spremere
Peccato che la tecnologia sia andata talmente avanti che ora i nostri clienti ignoranti si rifiutino di cambiare macchine con XP perchè per le loro 3 operazioni vanno ancora benissimo… lasciamo stare quando cominci a spiegare servizi cloud… penso che vedere alcune foto delle loro espressioni mentre cerchi di parlare di Cloud renda benissimo
La mia ricetta è che bisogna essere consapevoli che le cose che sappiamo sono ancora arretrate e quindi non smettere di essere curiosi sempre, bisogna sgridare il cliente che dice: “ah io non ne so niente.. non ne capisco nulla” io rispondo sempre: “male, l’informatica tocca tutti gli aspetti della tua azienda e non puoi permetterti di non sapere di cosa stiamo parlando”
Bisogna formare il cliente
Bisogna saper far squadra e non accoltellare colleghi solo perchè hai paura che ti rubino il cliente, se lavori bene il cliente non ti cambia
Bravo Enrico… e continua a scrivere in italiano 🙂
Fabio,
grazie per il commento e lo sfogo ci sta tutto 😉
Analisi attenta, dettagliata ed ampiamente condivisibile.
Mi permetto di aggiungere una questione che ho vissuto in prima persona.
Hai parlato di “cultura”. E proprio la “cultura” che viene diffusa nelle maggiori istituzioni italiane in cui questa dovrebbe essere di casa, le Università, che è lontana anni luce dalla realtà SMB ed enterprise. Non dico sia sbagliata in senso lato, per carità, ma concentrarsi su robotica, intelligenza artificiale, ricerca e sviluppo a tutti i costi (che sfociano poi proprio in quelle startup che hai citato), secondo me non va. Non va perché i tecnici che dovrebbero essere formati e poi costituire l’esercito degli specialisti IT non hanno approccio al problem solving, non conoscono né sanno come affrontare le dinamiche aziendali, spesso sembrano lontani dalle stesse questioni IT sulle quali dovrebbero essere padroni.
Ci sta che l’esperienza si faccia sul campo, ma in Italia il divario tra l'”accademia” e l'”operatività” è davvero enorme!
Mi sa che tocchi degli argomenti che noi tocchiamo con mano ogni giorno.
Sono diversi anni che la nostra azienda cresce malgrado il fatto che che tanti rivenditori ci abbiano snobbato perchè non presentavamo i soliti brand. Per fare cosa? Per dargli qualche Euro di sconto in più rispetto alla concorrenza? No grazie.
Ci dicevano che loro trattavano solo marchi rispettabili(?) e quindi non erano interessati.
Poi alcuni marchi “rispettabili” hanno chiuso, sono stati fagocitati, hanno cambiato politiche commerciali, ecc… ed ecco che all’improvviso, dopo mesi o a volte anni, siamo interessanti perche permettiamo a quegli stessi rivenditori di differenziarsi e ri-iniziare a vendere.
Noi, nel nostro campo, portiamo innovazione e differenziazione ma il rivenditore (ed anche il CTO) medio è molto conservativo ed è interessato ad innovare solo se non deve cambiare nulla nel suo metodo di vendita o di lavoro. Ma questi personaggi sono sicuri di fare il lavoro giusto? Io ho scelto di lavorare nell’ambito dell’IT perchè cambia rapidamente e perchè può dare nuovi stimoli ogni giorno e spero anche che sia la stessa cosa per voi. Altrimenti che senso avrebbe in un settore che si basa sull’innovazione se non la si accetta ed ancor di più se non la si cerca?
Mi domando, ma vale la pena “acculturare” degli IT manager e/o delle aziende che investono grandi cifre in firewall, antispam, url filtering,…, ma non hanno MAI organizzato un corso per i propri utenti per spiegare 4 concetti base sull’utilizzo degli strumenti informatici che gli farebbero risparmiare soldi e tempo?
Oppure, é proprio vero che manca la cultura o spesso manca il coraggio? Quanti IT manager scelgono il brand noto per pararsi il fondoschiena?
Io ho un solo cliente che gestisce l’IT in modo moderno e coraggioso e dati alla mano spende un terzo ed è molto più efficiente di un’azienda paritetica nello stesso settore. Eppure molti altri clienti non vogliono sentire.
Un caso sintomatico e di due IT manager con cui ho a che fare (uno giovane e uno un po meno) che sono abituati a fare in un determinato modo il loro lavoro e non c’è verso di schiodarli dalle loro posizioni. Non sono stupidi, ma non hanno la voglia, il coraggio, la curiositá di confrontarsi con qualcosa di nuovo e chi c’è sopra di loro neanche se ne accorge.
Enrico, fammi portare il punto di vista di chi ha sempre lavorato nelle multinazionali. Come sai, abbiamo difficoltà ad adattare i nostri processi e modelli a un mercato particolare come quello italiano. Prendi ovviamente con le molle quel che dico perchè è parziale, ma una cosa politically scorrect la vorrei dire.
È tutto vero quel che dite, ma io vedo anche un grosso problema culturale. L’economia italiana è, purtroppo, dominata da aziende microscopiche che non hanno alcun senso in una economia globalizzata dove si deve competre con la Cina. Sopratutto se da trent’anni non fanno innovazione di prodotto e di processo ma hanno in testa solo i costi. I prodotti e soluzioni innovativi ci sono, ma se l’unica cosa che conta è la cifra in basso a destra, se ci si deve sempre sentir dire “bellissimo, ma il tuo competitor mi fa 5 euro in meno e anche se è un prodotto/soluzione inferiore lo prendo”, se negli altri paesi si dà valore a soluzioni che migliorano i processi e l’efficienza e da noi no, se negli altri paesi si riconosce il valore aggiunto a soluzioni che permettono di risparmiare tempo e snellire i processi e da noi continua a contare solo “si vabbè, ma quanto costa”, se noi non riusciamo ancora a capire la differenza tra prezzo e costo, se il famoso valore aggiunto non viene mai riconosciuto, come pensiamo di evolvere?
L’italiano medio è quello che se tu gli metti davanti una analisi costi/ricavi in cui gli dimostri che a mettere il fotovoltaico sul tetto ci guadagna ti dice “eh, ma costa troppo”, ma non ha nessun problema a pensare di spendere 20.000 euro per un’automobile che gli costa altre migliaia di euro l’anno solo per tenerla in strada e che cambierà dopo 5 anni.
Mettiamola così: la lungimiranza e l’investire per il futuro non sono esattamente parte del nostro DNA…
queste parola sarebbero da incorniciare!