Questo post serve per illustrare cosa è questo Private Cloud di cui molti parlano e quali / quanti benefici può portare alla vostra architettura IT interna.
Se state leggendo questo post, su questo sito, immagino che tutti voi abbiate in qualche modo già implementato una qualche forma di virtualizzazione nel vostro datacenter, probabilmente utilizzando VMware, Xen o Hyper-V, se non avete ancora implementato nessuna di queste tecnologie immagino che ne abbiate almeno sentito parlare.
Bene, queste tecnologie hanno consentito alle aziende una razionalizzazione a livello fisico molto importante consentendo a quest’ultime di risparmiare denaro sopratutto sul lato energetico; questo, in alcune aziende, ha fatto guadagnare alla virtualizzazione una fiducia tale da permettere loro di rompere gli indugi ed iniziare a virtualizzare anche i workload business-critical e mission-critical.
Questo processo ha consentito di ottenere una certa padronanza e dimestichezza con l’ambiente virtuale, tanto da adottare in alcuni casi una politica di tipo Virtualization First ovvero considerare ogni nuovo deployment come una macchina virtuale e non più come un server fisico.
Questo punto di arrivo viene considerato un po’ da tutti il “traguardo” del loro viaggio verso la virtualizzazione, in realtà possiamo considerarlo l’ultimo step prima di arrivare al vero e proprio Private Cloud o come ad alcuni piace definirlo IT à la carte. Possiamo suddividere la maturazione della virtualizzazione in azienda in tre fasi:
La fase dei Servizi IT in Produzione
Questa fase consiste nella virtualizzazione dei processi totalmente in mano all’IT, come ad esempio i servizi di infrastruttura: DNS, Active Directory, DHCP, Print Server, Mail Server e altri server di servizio.
Per addentrarsi nella prima fase di adozione è sufficiente il sostegno dell’ICT Manager, non vengono generalmente coinvolte persone al di fuori dell’ICT department, il valore aziendale è rappresentato dal risparmio ottenuto nella gestione delle operazioni (OPEX) e dal risparmio dovuto al mancato acquisto di nuovo hardware durante i deploy di nuove macchine (CAPEX).
Da qui arriviamo alle funzionalità chiave per questa fase che sono: il già menzionato risparmio sui costi, il provisioning molto rapido (non dobbiamo infatti attendere settimane per ordinare dell’hardware nuovo) e sopratutto si comincia ad instaurare una certa credibilità e fiducia nei confronti della virtualizzazione all’interno dell’azienda.
La fiducia nella soluzione è da considerarsi “reattiva” in quanto il reparto IT “reagisce” ad una esigenza del business come il refresh dell’hardware o il necessario consolidamento del datacenter, in questa fase il team ICT comincia a prendere confidenza con gli strumenti base messi a disposizione dalla piattaforma di virtualizzazione.
Virtualizzare il Business in Produzione
Ovvero quella che si può anche chiamare la fase del “Quality of Service”, questa fase può essere considerata la più critica delle tre in quanto la virtualizzazione entra nel mondo delle applicazioni “business” e “mission” critical e quindi il processo di accettazione diventa più complesso e coinvolge non più solo il reparto ICT ma anche gli Application Owner (quindi i responsabili delle applicazioni), i quali devono necessariamente dare il proprio sostegno al processo.
Ottenere il sostegno dagli Application Owner è una componente più che fondamentale, le loro aspettative infatti non sono paragonabili a quelle del gruppo IT (che normalmente sono: consolidamento server, contenimento dei costi, semplificazione dell’infrastruttura) sono bensì orientate alla disponibilità (HA, Fault Tolerance, possibilità di DR) e alle performance, in parole povere ad abbassare il rischio della propria applicazione.
E’ importante, per un ICT department che approccia questa fase, far capire agli Application Owner che la virtualizzazione porta con sè una serie di benefici impliciti, dati dall’encapsulamento delle applicazioni in entità virtuali, che si traducono in un immediato ritorno di benefici, come la possibilità di effettuare maintenance anche durante gli orari di operatività, utilizzando le tecnologie di live migration.
Al valore aziendale della virtualizzazione si aggiungono la maggiore disponibilità delle applicazioni che vengono meglio protette e una reattività molto più alta dove mediante le tecniche di rapid provisioning abbiamo un tempo di deploy praticamente azzerato.
La fiducia in questa fase è da considerarsi “selettiva” visto che vengono scelte in modo oculato le applicazioni che offrono meno resistenza alla virtualizzazione, sia per una questione puramente interna, come il rapporto che c’è tra il reparto ICT e l’Application Owner, sia per questioni, invece, puramente tecniche, come il supporto della piattaforma di virtualizzazione da parte del vendor Software. Microsoft ad esempio ha avuto in passato una politica poco amichevole nei confronti di VMware che si è risolta solo negli ultimi anni con un programma di certificazione delle soluzioni virtualizzate che ha accontentato molto i clienti congiunti.
Il consolidamento di questa fase viene considerato il “punto di rottura”, dove le competenze del reparto ICT sono ormai consolidate e dove la resistenza degli application owner è stata quasi completamente annullata, è questo il momento dove normalmente viene introdotta la già menzionata “Virtualization-first policy”, che apre la strada all’adozione massiva della virtualizzazione all’interno dell’azienda, a questo punto le nuove applicazioni vengono tutte virtualizzate a meno che non ci sia un impedimento tale da impedirlo.
Come dicevamo all’inizio, questa fase viene considerata da molti il punto di arrivo del viaggio verso la virtualizzazione ed in effetti abbiamo già incontrato un rilevante numero di benefici tramite la sua adozione, ma qual’e’ il passo successivo?
Private Cloud
L’automazione.
Questa è la chiave per conseguire un vero IT-as-a-service, l’automazione rende possibile l’orchestrazione completa di tutti i componenti e rende il processo IT un vero e proprio servizio “on-demand” dove le risorse vengono allocate su richiesta dove e quando servono.
Per far in modo che il servizio IT si trasformi in un vero Private Cloud è però necessario un sostegno ai massimi livelli, direttamente dal CIO o addirittura dal CEO, mentre la fiducia nella parte di virtualizzazione deve essere anch’essa altissima.
Questo porta a realizzare dei processi aziendali molto razionalizzati ed incentrati completamente sul servizio, e, aspetto non da poco, ad un innalzamento della qualità della vita per l’ICT department che viene sgravato dagli impegni fuori orario che caratterizzano questa funzione aziendale.
Ma quali e quanti sono i pilastri del Private Cloud? Quelli che necessariamente una azienda deve adottare per abbracciare questa filosofia?
Prima di tutto l’azienda deve dotarsi di una infrastruttura computazionale che sia dinamica e self managed, significa che l’infrastruttura su cui poggerà il nostro Private Cloud dovrà essere realizzata in modo da essere:
- Resiliente, quindi garantire un alto livello di disponibilità
- Scalabile, con facilità e senza richiederne la rielaborazione, l’infrastruttura deve essere espandibile con il minimo sforzo.
- Virtualizzata, ovviamente una architettura Private Cloud deve essere virtualizzata, sia per garantire la standardizzazione della piattaforma di HW virtuale sia per garantire la trasportabilità verso un eventuale Public Cloud.
- Dinamica, deve essere possibile ribilanciare I workload in modo automatico in base a degli SLA ben precisi e definiti.
Inoltre, come ho già ribadito prima, la chiave di volta per il Private Cloud è l’Automazione, una vera infrastruttura IT-as-a-service comprende un motore di provisioning delle applicazioni che possa farne il deploy ed il ritiro in modo automatizzato recuperando immediatamente le risorse occupate in precedenza, deve avere dei meccanismi per schedulare e riservare le risorse, strumenti per controllare l’accesso alle risorse e delle policy per dichiarare come le risorse possano essere utilizzate.
Queste capacità creano l’agilità necessaria e contemporaneamente ci danno il necessario controllo amministrativo, un’infrastruttura di questo tipo è un pilastro fondamentale per il nostro Private Cloud data la natura “elastica” dell’IT-as-a-service.
Il Cloud computing è incentrato al servizio, questo è in forte contrasto al modello tradizionale che è invece incentrato sul sistema, se non addirittura sul server.
In molti casi, gli utenti del nostro Private Cloud vogliono far girare un servizio od una applicazione senza dover entrare nel merito degli aspetti tecnici dell’amministrazione di sistema o del network, preferiscono avere un accesso veloce e semplice ad una istanza dedicata di un determinato servizio o applicazione; astraendo via la componente server-centrica gli utenti possono avere accesso ad ambienti predefiniti disegnati specificamente attorno ai loro servizi.
Un approccio incentrato al servizio abilita una forte business agility, più velocemente vengono compiute queste operazioni, più veloce si muoverà il business riducendo i costi ed accelerando I processi.
Interagire con il Cloud richiede un certo livello di autonomia degli utenti, le piattaforme cloud più evolute danno la possibilità di costruire, rilasciare, schedulare, gestire e creare dei report sui servizi del business in modo “on-demand”.
L’interfaccia di self-service deve fornire una interfaccia utente intuitiva per permettere agli utenti di gestire tutto il ciclo di vita del servizio, dal deploy al ritiro.
Il beneficio di questo modello è quello di conferire un livello di autorità e di indipendenza degli utenti che incrementa l’agilità, e un giovamento collaterale è anche quello di poter delegare tutta una serie di mansioni e task ripetitivi agli utenti, sgravando il reparto ICT che si può concentrare su responsabilità più strategiche e di alto livello.
Infine, il cloud computing è guidato dall’utilizzo, I “consumatori” pagano solamente per le risorse che utilizzano e quindi gli deve essere applicato un modello di costo a consumo (il cosiddetto chargeback). La piattaforma di Private Cloud deve prevedere un meccanismo per catturare le informazioni di utilizzo e creare una reportistica per realizzare il chargeback delle risorse utilizzate dai vari centri di costo dell’azienda.
Il valore di questo “Pilastro” è: dal lato utente l’abilità di pagare effettivamente solo per quello che viene utilizzato, tenendo I costi bassi, dalla parte dell’IT questo modello è importante perché permette sempre di autofinanziare le ulteriori crescite dell’infrastruttura cloud interna.
Conclusioni
Il “Cloud” è un termine molto abusato in questo periodo, oggi tutto, in qualche modo, viene considerato “Cloud”, in realtà dietro a questo termine si nasconde una filosofia veramente rivoluzionaria che potrebbe stravolgere completamente la concezione dell’IT aziendale come lo conosciamo oggi, ma come tutte le rivoluzioni ci vorranno anni prima che le aziende capiscano e abbraccino le tematiche discusse in questo post.
Mi sa che anche tu hai fatto un salo al vmworld 2010 quest’anno 🙂
Complimenti per i post
Mi sa che anche tu hai fatto un salo al vmworld 2010 quest’anno 🙂
Complimenti per i post